La “parola fantastica”: logopoiesi, retoriche dell’indicibile e mostri verbali - p. 65

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Davide Carnevale, La “parola fantastica”: logopoiesi, retoriche dell’indicibile e mostri verbali - p. 65

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Su una parola che, alla deriva, va inesorabilmente affrancandosi dal vincolo che la lega al suo referente e a una funzione mimetica, nell’ambito di una letteratura a sua volta vista sempre più come autoreferenziale e “insufficiente”, il racconto fantastico, nelle sue declinazioni novecentesche, costruisce le sue stesse possibilità narrative e quell’effetto perturbante che ne rappresenta la cifra specifica. Laddove negli esempi della tradizione romantica, infatti, la trasgressione fantastica è rintracciabile quasi esclusivamente a livello semantico, nel contenuto della narrazione, nel secolo scorso gli sviluppi del genere hanno dirottato la carica destabilizzante e conflittuale generata dall’intrusione nella realtà dell’irrazionale verso il piano sintattico, vale a dire l’organizzazione del discorso narrativo, e quello verbale. Questo contributo raccoglie dunque l’invito di Manganelli a «sollevare le botole delle parole, per scoprire altre botole, e scendere così un precipizio di occulte invenzioni», quale è, appunto, la letteratura fantastica, nella sua tenace aspirazione a nominare l’innominabile.






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