Elisa Caporiccio, Ugo Conti, «Si creò nelle parole i campi del suo esilio». Esegesi e riletture dell’episodio biblico della nominatio rerum in Eco e Caproni - p. 75
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«Omne enim quod vocavit Adam animae viventis, ipsum est nomen eius»: Genesi 2, 19-21 ospita l’atto cruciale della nominatio rerum da parte di Adamo, in cui si manifestano la volontà di dominio sulle creature viventi e la capacità distintiva dell’essere umano di analizzare e conoscere il reale mediante lo strumento linguistico. Il motivo biblico di Adamo come Nomoteta circolerà nella riflessione dei letterati a venire con sorprendente diffusione, legandosi al nodo dell’origine del linguaggio – secondo φύσις o secondo λόγος – e al problema del rapporto tra la parola e il reale. Sul primo corollario si è espresso a più riprese Eco, interrogandosi nel 1993 e successivamente nel 2007 sul criterio soggiacente all’imposizione adamitica dei nomi alle cose, chiamando in causa la curiosa assenza del solo episodio di Genesi 2 nella riflessione dantesca sulla lingua del primo uomo (Dve i, iv-vi; Par. xxvi). Sulla seconda questione risultano particolarmente suggestivi tre articoli composti da Caproni tra il 1946 e il 1947, in cui l’episodio biblico viene piegato a un’innovativa interpretazione, sulla scorta dell’idea di fondo per cui la parola non possiede alcun valore conoscitivo nei confronti della realtà; l’autore giunge persino a identificare in tale pretesa il motivo della cacciata dell’uomo dall’Eden. La ricchezza d’implicazioni gnoseologiche derivante dall’esegesi del brano biblico in questione induce pertanto a proporre un percorso diacronico attraverso due tra le sue più interessanti riletture
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