Dire il mondo, dire il silenzio. Le (im)possibilità del linguaggio in due opere di confine: Ultimo viene il corvo e Palomar - p. 95

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Ada D'Agostino, Dire il mondo, dire il silenzio. Le (im)possibilità del linguaggio in due opere di confine: Ultimo viene il corvo e Palomar - p. 95

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Il contributo propone una riflessione sul ruolo del linguaggio nella poesia calviniana, partendo dall'analisi di due testi: Ultimo viene il corvo e Palomar. Pur cronologicamente molto distanti, queste opere sembrano infatti confermare gli stessi interrogativi rispetto alle possibilità - e alle impossibilità - di interazione tra il sé e il mondo, la realtà e lo strumenti linguistico.

Nell’opera di Italo Calvino, la riflessione sulle potenzialità del linguaggio occupa un posto di assoluta centralità. Non a caso, il tentativo di far aderire il reale ai codici della lingua scritta diventa nucleo generativo di opere cronologicamente molto distanti tra loro. È il caso in particolare di Ultimo viene il corvo Palomar: il racconto del 1947 presenta infatti, sia pur in maniera implicita, quella domanda relativa all’inaccessibilità del reale che, modulandosi in forme diverse e sperimentando nuovi linguaggi, continuerà ad essere drammaticamente presente fino all’ultimo testo edito, Palomar (1983). L’interrogazione sulla dicibilità del mondo non tarda, vedremo, ad ammantarsi di un profondo senso etico: perché se il «mondo non scritto» rimane, in massima parte, irraggiungibile, tanto più l’esercizio di una sua comprensione linguistica si mostrerà profondamente necessario.






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