L’esperanto è una lingua pianificata per la comunicazione internazionale il cui progetto venne pubblicato a Varsavia nel 1887, nel contesto culturale della Russia zarista. Il suo fondatore, Ludwik Lejzer Zamenhof, era un ebreo ashenazita che aveva un doppio progetto, sul piano linguistico e sul piano filosofico-religioso. Il progetto linguistico è diventato l’esperanto, mentre il progetto di religione filosofica, denominato inizialmente Hillelismo e in seguito Homaranismo voleva essere per il popolo ebraico una riforma radicale dell’ebraismo che andasse oltre la dicotomia assimilazionismo vs sionismo delle origini, e per tutti gli altri popoli un monoteismo di stampo illuminista che permettesse il dialogo religioso. Le fortune dell’esperanto dalla culla del territorio polacco hanno preso due direzioni opposte e complementari: la prima verso occidente, a partire dal mondo francofono (in particolare, Ginevra e Parigi), che hanno ricondotto il nascente movimento esperantista nella metafora concettuale del nazionalismo romantico classico di fine Ottocento, non senza contraddizioni; la seconda verso oriente.
Questo contributo intende illustrare la seconda direzione, che dalla Russia passa alla Cina e al Giappone, e in seguito in Corea, Mongolia, e Vietnam, dove la componente filosofico-religiosa viene recuperata dalla sensibilità dell’Asia orientale con modalità originali, mantenendo la visione originale di Zamenhof di sottolineare cosa c’è in comune tra gli esseri umani maggiormente rispetto alle differenze nazionali e culturali che caratterizzano le identità di ciascuno. Lo scopo del contributo è di mostrare quanto lo strumento linguistico dell’esperanto sia adattabile alle diverse realtà dell’occidente e dell’oriente, oggi come ieri, nel comune intento di essere lingua ponte tra le differenze.