Caterina Canneti, Chiara Murru, Elena Felicani, Monica Alba, Male parole: il gusto di dire le parolacce - p. 225
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Le parolacce sono parte integrante del lessico della nostra lingua, sono registrate nei vocabolari (antichi e moderni), si ritrovano nei testi letterari di tutti i tempi e nel linguaggio della quotidianità. Come ogni entità lessicale, anche le parolacce mutano nel tempo e nello spazio, riflettendo la cultura di un popolo e i suoi contatti con altre lingue: considerate come la parte più turpe del nostro linguaggio a causa della loro impronta semantica, eppure spesso stigmatizzate, sono per antonomasia le parole da non dire e da evitare. Tuttavia, queste parole, ritenute tanto volgari quanto indecorose, emergono con forza nel parlato della vita quotidiana, nell’uso del dialetto o del registro colloquiale: non a caso, proprio per il loro stretto legame con la cultura orale e materiale, si ritrovano – con tutta la loro carica espressiva – nelle denominazioni di tanti piatti della tradizione culinaria.
Oltre a proporre un’introduzione generale sull’argomento, l'intervento mette in evidenza l'importanza del turpiloquio nella misura in cui esso è stato codificato nella lingua, attraverso la valutazione dei vari modi in cui è entrato a farne parte. Grazie anche all’ausilio di diversi strumenti lessicografici, si esaminano alcuni casi di studio volti ad avvalorare le premesse poste.
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